SCAVI APERTI SU CHIUSI -I° CICLO DI INCONTRI-

 

“Dalla scoperta della Chiusi etrusca alle più recenti indagini sul territorio”

 

 

 

Relatore JACOPO TABOLLI

 

 

Introduzione e saluti istituzionali di Mattia Bischeri Assessore alla Cultura, Archeologia e Lavori pubblici del Comune di Chiusi.

 

Ricordiamo che gli ex lavatoi sono stati riaperti al pubblico da poco: l’opera architettonica subito fuori Porta Lavinia, è stata al centro di un lungo processo di restauro durante il quale sono stati ritrovati antichi reperti archeologici risalenti ai primi insediamenti civili nella zona.


Per chi non fosse stato presente alla conferenza del 22 di luglio 2022, raccomandiamo di leggere il seguente articolo redatto dal Dott. Roberto Sanchini che ne riassume con puntualità i passi salienti della serata.

L’incontro, il secondo del ciclo “Scavi aperti su Chiusi. L’archeologia raccontata ai lavatoi di Porta Lavinia”, si è tenuto in una serata ideale, favorita dal carattere appartato e suggestivo del luogo e dalla sua esposizione particolarmente apprezzata, vista la stagione, per la frescura che in quelle ore risale dal Lago. 

Buona la partecipazione di pubblico e significativa la presenza delle dr.sse Ada Salvi e Paola Romi, funzionarie delle Soprintendenze Archeologia, Beni Artistici e Paesaggio di Siena-Grosseto e di Perugia, competenti per i due ambiti amministrativi, toscano ed umbro, in cui è stato diviso quello che fu l’antico territorio di Chiusi; in particolare Ada Salvi è colei che ha sostituito proprio Tabolli nelle funzioni ispettive nella zona, dopo che questi, vincitore di concorso a cattedra, ha lasciato la Soprintendenza per intraprendere la carriera universitaria.

Grande è stata poi l’attenzione con cui è stato seguito il racconto della nascita di una grande capitale etrusca e di uno scavo che, si è detto, nello spazio relativamente ristretto dei lavatoi ha avuto la fortuna e il merito di intercettare stratigrafie e strutture (muri, pozzi e cisterne) marcatrici di continuità d’insediamento dal X secolo a.C. al medioevo.

Attorno a questi contesti inattesi si è poi adattato l’originario progetto di recupero per trasformare lo storico immobile nel contenitore di queste antichissime testimonianze di abitato e renderle pubblicamente fruibili.

La scoperta è suonata a conferma di un processo di formazione della città che ha precisi confronti con quello avviatosi in Etruria attorno agli inizi del I millennio a.C., dove allo spopolamento di porzioni vastissime di territorio si contrappose la formazione di grandi agglomerati urbani su estesi pianori a controllo delle più importanti vie di comunicazione, di terra e di acqua.

A Chiusi è stata semmai osservata l’assenza di pianori del genere, qui ‘sostituiti’ da più colli tanto da costituire assieme a Roma la sola eccezione che conferma la validità del modello di formazione protourbana appena illustrato.

Tabolli ha quindi aggiunto che in un territorio come quello di Chiusi, di cui ha mostrato la carta disegnata cento anni fa dal grande archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli (Fig. 1), la presenza della città e di necropoli da essa lontane anche molti chilometri non presuppone necessariamente l’esistenza di centri intermedi.

FIG. 1 – L’antico territorio chiusino

(da: R. Bianchi Bandinelli, CLUSIUM. Ricerche archeologiche e topografiche su Chiusi e il suo territorio in età etrusca, Roma 1925)

Suggestiva infine l’ipotesi avanzata sulla natura del c.d. “ripostiglio del Goluzzo”, i cui bronzi, conservati al Museo Pigorini di Roma e consistenti in vari oggetti defunzionalizzati trovati sparsi sul terreno, sono stati ritenuti poter costituire testimonianza di un rituale di delimitazione dello spazio urbano piuttosto che di un accantonamento di rottami metallici da rifondere collegato a un’attività artigianale.

Quanto allo scavo fuori Porta Lavinia, in attesa della sua completa pubblicazione, il docente ed ex ispettore archeologo di zona ha descritto in modo sintetico le strutture ora visibili sotto i cristalli degli ex Lavatoi per poi soffermarsi su alcuni dei reperti più significativi, quelli che hanno consentito la datazione delle unità stratigrafiche di provenienza, in particolare una parete di biconico villanoviano pertinente al riempimento della cisterna scavata nel banco nonché, restituito da una delle buche di palo della struttura orientalizzante, un frammento della vasca di una coppa di bucchero sottile tipologicamente simile ad altra coppa su alto piede ora conservata nel Museo Nazionale Etrusco di Chiusi assieme a gran parte del rimanente corredo della tomba principesca, chiusina, della Pania.

Sin qui la sintesi dell’incontro, conclusosi col solito, partecipato, momento conviviale.

 

 

 

PER APPROFONDIRE L’ARGOMENTO

 

si trascrivono passi significativi degli studi di Marco Pacciarelli e Maria Chiara Bettini tratti delle opere che Jacopo Tabolli ha espressamente citato durante l’intervento.

M. Pacciarelli, DAL VILLAGGIO ALLA CITTÀ. La svolta protourbana del 1000 a.C. nell’Italia tirrenica, Firenze 2000

pp. 131-133:

“… Per Chiusi si è ritenuto fino ad oggi che la città etrusca occupasse i tre colli su cui sorge l’attuale centro abitato, in effetti racchiusi da una cinta muraria, databile però ad età ellenistica. Appare tuttavia indubbio che la piccola superficie – circa 25 ettari – compresa entro tali mura rappresenti un dato contraddittorio rispetto alla vasta distribuzione delle necropoli, spesso assai lontane dall’attuale Chiusi, e in un certo senso anche alla ricca fioritura denotata dai corredi orientalizzanti e arcaici (nonché alla potenza della città ricordata dalle fonti storiche).

Poiché a varie riprese resti di aree abitative o sacre sono venuti in luce sulle colline circostanti, si è finora creduto a un modello di insediamento per piccoli nuclei scarsi nel territorio prossimo al piccolo centro urbano. Nell’ambito di tale territorio negli ultimi anni sono stati identificati anche numerosi resti di insediamento villanoviano grazie a scavi di recupero promossi dalla Soprintendenza Archeologica della Toscana (A. Rastrelli) e dall’Istituto Universitario Orientale di Napoli (P. Gastaldi) e a ricognizioni condotte dal gruppo archeologico “Città di Chiusi”, da G. Paolucci, e M.C. Bettini, che ha compiuto una meritevole opera di studio e documentazione di tali evidenze.

Un preciso modello interpretativo della distribuzione dei resti di insediamento villanoviano è stata di recente proposta da P. Gastaldi.

FIG. 2 – La città più antica – Modello insediativo

(da: P. Gastaldi (a cura di), Chiusi. Lo scavo del Petriolo (1992-2004), Chiusi 2009)


Come osserva quest’ultima, gli affioramenti di ceramiche domestiche villanoviane –arcaiche interessano, oltre alla zona dell’attuale città (peraltro in misura piuttosto modesta), la sottostante collina della Badiola con la sua propaggine meridionale del Petriolo (sede degli scavi dell’Istituto Orientale di Napoli, e del ritrovamento del ripostiglio del Goluzzo) e le due grandi colline che si sviluppano in successione verso nord, quelle di Monte San Paolo e di Monte Venere. Poiché in questo continuum di rilevi collinari non sono presenti sicure e consistenti tracce di sepolcreti – che invece si distribuiscono sui rilievi immediatamente prospicienti – sembra al momento convincente l’ipotesi di Gastaldi, secondo cui l’abitato villanoviano e poi etrusco dovesse interessare organicamente l’intero complesso orografico, con dubbi relativi solo all’effettiva inclusione di Monte Venere nell’area urbana arcaica.

A chi scrive sembra a questo punto decisivo, per il riconoscimento di un modello sostanzialmente simile a quello dei grandi centri meridionali, il fatto che l’estensione di tale complesso risulti molto elevata, certamente non inferiore a 120 ettari. A questo punto non ha molto senso interrogarsi sulle modalità di occupazione di tale superficie, che sarà stata lato sensu di tipo discontinuo, come a Vulci, Tarquinia o Veio, ma nel contesto di una comune unità organizzativa. Indubbiamente, data la natura delle evidenze e lo stato ancora preliminare della loro edizione, vi sono ancora margini di incertezza. Ci si riferisce ad esempio a due piccoli gruppi di reperti localizzati al di fuori dell’area sopra citata, che potrebbero riferirsi a piccoli nuclei abitativi esterni, che non modificherebbero comunque gran che il quadro complessivo, ma anche sepolcreti. ….”

M.C. Bettini, CHIUSI VILLANOVIANA – Monumenti Etruschi 14, Roma 2021

pp. 323-330:

VII.

IL POPOLAMENTO DI CHIUSI NELL’ETÀ DEL FERRO

GLI INSEDIAMENTI

Entro la fine dell’età del Bronzo i siti di Cetona Vetta e S. Maria in Belverde prima, e di Casa Carletti poi vengono abbandonati e non hanno significativi segni di rioccupazione stabile ed estesa dell’area del Cetona almeno fino ad un orizzonte avanzato della prima età de Ferro (VIII secolo a.C.). Lo testimonia la necropoli di Sferracavalli a Sarteano (sulle propaggini orientali e meno elevate del massiccio volte verso la Val di Chiana) che, sebbene sia stata probabilmente utilizzata dalla prima fase villanoviana, attesta un consolidamento dell’occupazione dell’area nel passaggio tra il Villanoviano e l’Orentalizzante, e lo attestano i rinvenimenti di Pietraporciana, Pianporcelli, Albinaia-Casolimpia e Baccacciano, nella zona nord-occidentale del territorio di Sarteano. Alla fine dell’età del Bronzo viene abbandonato anche l’insediamento arroccato sull’altura isolata di Radicofani e le presenze relative alle fasi avanzata e finale dell’età del Bronzo sul versante meridionale del lago Trasimeno non sembrano avere continuità nella facies successiva.

Al contrario nell’età del Ferro si verifica un maggiore incremento demografico sui rilievi di Chiusi, in parte già precedentemente occupati, dove il passaggio dall’età del Bronzo finale avviene senza soluzioni di continuità e con un ulteriore addensamento lungo le dorsali sviluppate in senso sud-est/nord-ovest.

La Rocca (qt. 370 m circa s.l.m.) continua ad essere occupata per tutta l’età del Ferro ed oltre e probabilmente viene occupato anche il versante meridionale sopra via della Violella.

Le deboli tracce di frequentazione villanoviana restituite dalle ultime campagne di scavo nell’area de I Forti e i pochi sporadici frammenti recuperati nella vicina Casa Morviducci consentono di ipotizzare una continuità di frequentazione anche in questa zona. Non lontano, in prossimità del Museo Archeologico Nazionale, lo scavo di un pozzo ha restituito un piccolo nucleo di reperti protostorici segnalato da R. Bianchi Bandinelli e reperti analoghi sono stati recuperati dalla zona dell’Ospedale Vecchio, ma in entrambi i casi non vi sono elementi utili per puntualizzare la cronologia. Inoltre, gli scavi dei cunicoli sottostanti l’abitato, che hanno restituito abbondanti reperti di epoca storica, hanno invece consegnato scarsissime testimonianze protostoriche. Rilevanti testimonianze di un’occupazione stabile nell’età del Ferro sono state recentemente riportate alla luce da Iacopo Tabolli nel versante nord-orientale del centro storico di Chiusi, presso i Lavatoi fuori Porta Lavinia.

Significative presenze relative a questo periodo vanno registrate sul Monte San Paolo, l’ampio rilievo collocato tra la Rocca e Montevenere che avrà continuità insediativa e uno sviluppo maggiore nell’Orientalizzante. Tracce strutturali e ceramiche villanoviane – alcune presumibilmente rapportabili a un orizzonte arcaico della facies, mentre altre sono riferibili al pieno VIII secolo a.C. – sono state identificate sul versante occidentale del colle (380-385 m circa s.l.m.) da dove provengono anche le sopra citate testimonianze.

Dal colle posto più a nord, quello di Montevenere, proviene al momento la più copiosa documentazione riferibile sia agli orizzonti più antichi che a quelli più recenti dell’età del Ferro, con evidenze distribuite fra 325 e 380 m. circa s.l.m. e con il maggiore addensamento sul versante occidentale prospiciente la Val di Chiana. Questo stesso versante ha restituito inoltre gli scarsi elementi attribuibili al Bronzo finale. Un’area insediativa con strutture di tipo capannicolo – sia pure di estensione ed articolazione non

precisabile – è localizzabile anche sul versante orientale del colle, nella zona già nota come Querceta (prospiciente il lago di Chiusi, Il Monte/Monte San Paolo, la necropoli di Poggio Renzo e il podere La Pilella), prossima a sorgenti d’acqua ed a depositi di argille utili per la costruzione di strutture capannicole e per la manifattura ceramica.

Un altro addensamento doveva essere disposto sulla dorsale collinare meno elevata sviluppata sempre in senso nord-sud ad ovest della Rocca e ad ovest/sud-ovest di Monte San Paolo, dove si collocano il podere Goluzzo, San Giovanni, il Petriolo (330 m circa s.l.m.), la Pretina (335 m circa s.l.m.) e la Badiola (340 m circa s.l.m.) oggi separate artificialmente dal taglio praticato per il passaggio della strada provinciale. Nella zona del Petriolo, le indagini dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli hanno riportato alla luce rilevanti testimonianze dell’abitato orientalizzante e arcaico, il crollo di una struttura di incannucciata della prima età del Ferro «a nord lungo la fiancata occidentale del pianoro», ma molti reperti dell’età del Ferro erano presenti «in forma residuale, in quasi tutte le aree indagate». In particolare, numerose testimonianze villanoviane sono state restituite dal saggio lungo la scarpata occidentale «con frammenti che conservavano parte del profilo, con fratture nette. I pochi frammenti recuperati nella pulizia dell’acciottolato US 6308 erano. Del resto, esclusivamente dell’età del Ferro. È anche probabile, dunque, che l’edificio del VII secolo avesse obliterato una struttura più antica o piuttosto un’area funzionale, come parrebbe suggerire il rinvenimento delle matrici» di fusione per manufatti di bronzo. Queste forme di fusione e i rinvenimenti del vicino podere Goluzzo fanno ipotizzare che già nell’età del Ferro su questa dorsale trovassero una adeguata collocazione le strutture connesse alle attività artigianali in particolare quelle relative alle lavorazioni metallurgiche. L’acqua e il combustibile necessari alle lavorazioni non mancavano (e comunque non difettavano in tutto il territorio chiusino) e la zona era collocata in un punto nodale per i collegamenti verso la Val di Chiana, verso il Cetona e Sarteano, verso Chianciano e il valico della Foce, verso il Trasimeno e il territorio umbro.

Procedendo in direzione nord sulla dorsale altimetricamente meno elevata, tra Giovancorso e la Palazzina, a circa 330 m. s.l.m. su un rilievo che fronteggia il versante occidentale di Monte San Paolo un altro addensamento di reperti villanoviani indizia una frequentazione non saltuaria, con elementi di incannicciata che comproverebbero la presenza di almeno una struttura. Sulla base dei reperti rinvenuti è ipotizzabile una occupazione non antecedente ad un momento finale del Villanoviano antico – inizi del Villanoviano evoluto, con elementi che rimandano a quello evoluto e finale. Poco lontano altri frammenti ceramici sono emersi a Ponte Rovescio (305 m s.l.m.), per i quali si può con molta prudenza ipotizzare una collocazione cronologica agli inizi del Villanoviano evoluto.

LE NECROPOLI

Le aree più estese certamente destinate a necropoli nell’età del Ferro sono quella di Poggio Renzo a nord-est e quella della Fornace Marcianella ad ovest-sud-ovest dell’attuale centro storico, ma sepolture isolate o in numero limitato si possono localizzare anche in altri punti del sistema collinare di Chiusi. Tutti questi siti si collocano lungo un perimetro esterno rispetto alle aree insediative, senza interporsi tra un complesso abitativo e l’altro.

La Fornace Marcianella è riferibile all’abitato sviluppato sulla dorsale antistante del Petriolo-Pretina-Badiola, di San Giovanni e probabilmente anche al nucleo insediativo tra Giovancorso e la Palazzina.

Poggio Renzo sembra essere la principale area di riferimento per gli abitati della Rocca, di Monte San Paolo e di Montevenere. Dando credito alla notizia della provenienza dal Podere Pilella del cinerario, della fibula ad arco serpeggiante e del rasoio lunato tipo Tarquinia già nella collezione Cambi, è possibile supporre che, data l’ubicazione, l’area destinata alla sepoltura sia da riferire a un nucleo insediativo posto sul versante occidentale dell’abitato di Montevenere.

La lettera di L. Lancetti a L.A. Milani ci consegna poi la testimonianza di sepolture (o di un’altra area destinata a necropoli) da localizzare presso la Stazione ferroviaria, con almeno una deposizione che potrebbe datarsi tra la fine del Villanoviano antico e l’inizio di quello evoluto. Questo dato presuppone la presenza di un abitato in una posizione meno elevata rispetto agli altri finora identificati, prossima ai percorsi viari naturali – e in particolare a quelli verso il territorio umbro -, che presumibilmente si riappropria della funzione svolta dall’insediamento del Bronzo finale di Bagnolo, ubicato poco lontano.

Infine, un’altra zona con destinazione funeraria nell’età del Ferro posta a sud-est dell’attuale abitato, sul Colle San Bartolomeo, in prossimità dell’attuale cimitero, potrebbe essere correlata all’area dei Forti (e/o della sottostante Casa Morviducci e a quella del Tiro a segno, che pure hanno restituito frammenti villanoviani), fornendo ulteriori dati a sostegno della continuità insediativa nella zona nell’età del Ferro.

La transizione dall’età del Ferro all’Orientalizzante è testimoniata compiutamente dalle tombe a ziro rinvenute in località Montebello (propaggine sud-occidentale di Poggio Renzo, verso il rilievo dell’attuale centro storico di Chiusi), analizzate da Alessandra Minetti, che mostrano il passaggio dai pozzetti villanoviani rivestiti di ciottoli – contenenti l’urna biconica con i rari elementi di corredo – ai doli di impasto all’interno dei quali vengono deposti il cinerario, i monili e i vasi accessori sempre più numerosi, ma che denotano un orizzonte culturale piuttosto povero, ancora legato nelle sue manifestazioni al periodo villanoviano. Probabilmente appartenevano per lo più a questo periodo anche le sepolture di Montebello o di Costa all’Este (presso il Romitorio) che hanno restituito alcuni reperti ceduti dal canonico Brogi al Regio Museo Preistorico Etnografico nel 1882.

Le prime attestazioni di un effettivo mutamento socio-economico e culturale sono rivelate però poco più tardi dalla tomba a ziro dell’Orientalizzante antico di Fonte all’Aia (posta a sud-ovest del centro storico), per la quale Alessandra Minetti ha ipotizzato la presenza di due sepolture molto ravvicinate nel tempo; la deposizione al suo interno di un rasoio lunato (tipo Benassi B della classificazione Bianco Peroni), evidentemente tesaurizzato, voleva forse testimoniare un forte legame familiare con la tradizione precedente. Di pari prestigio è la tomba del Rione Carducci (a sud del centro storico), connotata dalla presenza di un’ascia cerimoniale con lungo manico d’avorio intarsiato di ambra, da una figula a drago d’argento e da una gemma.

In conclusione – sulla base dei dati oggi disponibili – il primo nucleo di Chiusi nasce su uno dei rilievi collinari più elevati, il sito de I Forti, dove si hanno le testimonianze dell’orizzonte più antico del Bronzo finale e, già in un momento successivo alla stessa facies, si espande occupando la Rocca e forse Monte S. Paolo, nonché diversi punti della dorsale collinare meno elevata (Bagnolo, Goluzzo, Capanne), in posizioni strategiche per il controllo delle naturali vie di transito. La distribuzione degli abitati si adatta alle caratteristiche del territorio, privo degli ampi pianori che nei grandi pianori dell’Etruria meridionali hanno facilitato l’accentramento della popolazione determinando la nascita dei principali centri protourbani nell’arco di un processo che prende l’avvio tra l’orizzonte terminale del Bronzo finale e gli inizi dell’età del Ferro.

L’avvio già nel Bronzo finale del processo formativo di Chiusi, che agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso sembrava costituire una marcata differenziazione nei confronti dei grandi centri dell’Etruria meridionale, è un aspetto oggi accertato anche per Tarquiniae Vulci, dove sono state identificate testimonianze relative all’orizzonte terminale della stessa facies, benché il processo di aggregazione protourbana sia differente, anche in virtù della diversa configurazione geomorfologica del territorio. Peraltro la ricerca sta dimostrando che la nascita del fenomeno protourbano può assumere modalità diversificate dipendenti da specifiche situazioni locali. Presenze insediative del Bronzo finale sono documentate anche nelle aree prossimali ai pianori che saranno sede delle città storiche etrusco-meridionali di Caere, Veio e Orvieto, e inoltre a Bisenzio, dove l’assenza di un pianoro unitario ha determinato un addensamento progressivo attorno al Monte Bisenzio. In Etruria settentrionale una continuità di vita tra le due facies è documentata ed è stata ipotizzata per Vetulonia, mentre i dati relativi agli insediamenti protostorici di Fiesole e Cortona sono ancora alquanto scarsi per formulare delle ipotesi in merito. Al contrario a Populonia, sul Poggio del telegrafo e sul Poggio del Castello sede della città storica, non sono emerse presenze anteriori all’età del Ferro e l’area sarebbe stata prescelta solo dopo l’abbandono degli insediamenti del Bronzo tardo – Bronzo finale presenti lungo il litorale.

A Chiusi il passaggio al periodo villanoviano l’assetto territoriale protovillanoviano si consolida in alcune zone già strutturate e si amplia in altre.

Buona parte delle posizioni occupate nell’età del Bronzo finale sembrano infatti sostanzialmente mantenute: la Rocca, Monte San Paolo, probabilmente l’area de I Forti, la zona di Goluzzo, dove il ripostiglio viene interrato nel corso del Villanoviano antico, mentre in prossimità viene occupata la dorsale del Petriolo-Pretina-Badiola; vengono invece abbandonati Podere Capanne e Bagnolo. Dal momento iniziale del Villanoviano si registra invece una significativa espansione sul rilievo posto più a nord, proiettato verso la Val di Chiana, sul versante occidentale di Montevenere, strutturato e rimasto in vita per tutto l’arco cronologico della facies, ma in un orizzonte non precisabile, viene occupato anche il versante orientale della stessa collina.

È invece difficile stabilire la scansione interna alla facies dello sviluppo delle altre aree insediative. Probabilmente un’ulteriore espansione si registra in un momento avanzato del Villanoviano antico e soprattutto al passaggio a quello recente. Sulla base delle considerazioni espresse in precedenza, potrebbe essere assegnata a questo orizzonte l’occupazione della zona posta tra Giovancorso e la Palazzina; inoltre, in presenza di tombe villanoviane nei pressi della stazione di Chiusi dovrebbe essere collegata ad un insediamento nell’area circumvicina (posta a controllo dell’area precedentemente controllata da Bagnolo) che sulla base dell’unico corredo disponibile, potrebbe essere pertinente ad un orizzonte posto tra la fine del Villanoviano antico e gli inizi di quello evoluto.

È un sistema insediativo che appare articolato in nuclei distinti distribuiti in sequenza sulle sommità (dove possibile) e (principalmente)sulle pendici terrazzate (naturali o modellate dall’intervento umano) delle tre maggiori emergenze altimetriche, ravvicinate tra loro e sostanzialmente allineate lungo una direttrice nord-sud , proiettata verso la Val di Chiana, in posizione di controllo visivo e strategico del territorio: La Rocca, Monte San Paolo, Montevenere e, su una dorsale più bassa ai piedi dei rilievi maggiori comprendente Petriolo-Pretina-Badiola e l’area tra Giovancorso e la Palazzina e Ponte Rovescio.

Altri nuclei insediativi dovevano controllare il versante meridionale e sud-orientale del sistema collinare, prossimi alle aree produttive e alle vie di transito, e più favorevoli allo svolgimento degli scambi commerciali legati alla sfera metallurgica e che (sulla base dei ritrovamenti di Goluzzo e del Petriolo) prevedevano l’arrivo sia di manufatti finiti sia di materie prime o semilavorate destinate ad alimentare l’attività locale, costituendo probabilmente le forti ragioni del loro sviluppo. Questi nuclei erano disposti approssimativamente in senso sud-ovest; nella zona di Goluzzo, legata verosimilmente all’insediamento del Petriolo (e/o alla zona di San Giovanni che pure ha restituito frammenti villanoviani); in una zona non lontano da Chiusi Scalo la cui esistenza deve essere ipotizzata in prossimità delle sepolture segnalate nella zona della Stazione; in quella de I Forti o in un’altra area prossimale(anche i siti sottostanti di Casa Morviducci e Tiro a Segno hanno restituito dell’età del Ferro, con accrescimenti successivi; in questo periodo le necropoli o gruppi di sepolture sopra richiamati sono disposti sostanzialmente ai margini de ‘perimetro’ del sistema collinare occupato dalle aree insediative.

Marco Pacciarelli, analizzando le dinamiche dello sviluppo dei centri protourbani, ha proposto anche per Chiusi un modello che prevede la presenza di una «comune unità organizzativa», ovvero di un sistema che risponde ad una unità socio-politica già dall’età del Ferro. Patrizia Gastaldi, nel delineare un ampio quadro di popolamento per Chiusi dall’età del Ferro all’età arcaica, ha ipotizzato che il processo di strutturazione territoriale che ha portato alla definizione del perimetro urbano di Chiusi si fosse concluso già alla fine dell’VIII secolo.

La distribuzione dei diversi agglomerati (come detto sopra) in sequenza, a distanza di pochi chilometri l’uno dall’altro, sui rilievi più elevati e in quelli sottostanti più prossimali alle vie di transito, per lo più sul versante prospiciente la Val di Chiana ma in quello sud-orientale, poteva (e forse doveva) contemplare l’esistenza di un coordinamento tra i diversi gruppi egemoni per il controllo e lo sfruttamento del territorio, delle vie naturali di transito e degli scambi commerciali, e in questo senso è condivisibile l’idea dell’esistenza di un’organizzazione coordinata del territorio, anche se è difficile ipotizzare che già alla fine dell’età del Ferro a Chiusi si fosse in presenza di un insediamento unitario.

Un cambiamento significativo dell’assetto insediativo a Chiusi sembra verificarsi con il passaggio all’Orientalizzante alla fine dell’VIII secolo a.C. si consolida l’occupazione di Monte San Paolo, del Petriolo e della Rocca, come hanno testimoniato le indagini dell’Istituto Universitario Orientale e della Soprintendenza, mentre, stando ai dati attuali, si ridimensiona, pur senza scomparire del tutto, quella dell’insediamento più settentrionale – Montevenere – dove le ricognizioni di superficie hanno fatto emergere alcune testimonianza dell’Orientalizzante recente e dell’arcaismo.

Proseguirà nel corso dell’Orientalizzante l’utilizzo delle necropoli di Poggio Renzo e della Fornace-Marcianella, ma nuovi nuclei di sepolture gentilizie segneranno il complesso collinare di Chiusi (Montebello, Fonte all’Aia, Rione Carducci e in seguito Capanne, Fontecucchiaia, Poggio Gaiella, Dolciano, Fonte Rotella, Fonte Pinella, Vigna Grande, Ficomontano).

Contemporaneamente si affermeranno definitivamente anche altri centri del comprensorio, ed in particolare Sarteano (con lo sviluppo della necropoli di Sferracavalli, già sfruttata nell’età del Ferro, e la nascita di quella di Poggio Rotondo-Solaia, cui seguono Macchiapiana, Madonna La Tea, e Chianciano, oltre Sinalunga e Acquaviva, e probabilmente conoscerà un incremento demografico l’insediamento relativo alla necropoli di Tolle, che ha restituito anche qualche significativa testimonianza villanoviana, a dimostrazione dell’importanza assunta dall’itinerario verso e da l’Etruria mineraria, cui corrisponde – dall’altro capo del percorso – lo sviluppo di Roselle. ….”.

FIG. 3 – Frammento di ceramica villanoviana portato in superficie da un’aratura

(foto dell’autore)

Alcune note per chiudere.

Mi sembra che l’elemento più nuovo introdotto in questa occasione da Tabolli nel dibattito sulla formazione della Chiusi protourbana ed etrusca sia stato l’avere associato la deposizione dei bronzi del c.d. “ripostiglio” del Goluzzo a un rituale di fondazione, o comunque di formale definizione di uno spazio, e non, come è affermazione prevalente, alla raccolta di rottami metallici destinati ad essere rifusi; se così fosse dovremmo anche attribuire al momento della sua deposizione (“nel corso del Villanoviano antico” secondo Maria Chiara Bettini) il perfezionarsi del processo formativo della città.

Per essere meglio compreso credo che l’elemento vada integrato con alcune precisazioni sugli oggetti che lo compongono e sulla sua ubicazione.

Il ripostiglio fu rinvenuto nel 1881, nel corso di lavori agricoli, “arando il terreno e in un punto sparso di ceneri e carbone” [Bull. Inst. 1881]. I materiali erano per lo più rotti in antico o spezzati intenzionalmente, o infine ripiegati e comunque ormai privi della loro funzionalità; buona parte degli oggetti, ora al Museo Pigorini di Roma, è attribuibile al Bronzo finale, ma la deposizione, come detto, dovrebbe risalire all’età del Ferro, perché vi sono associati materiali di tale periodo.

Maria Chiara Bettini così li catalogava già nella sua tesi di dottorato, pubblicata nel 1996 e poi servita a base del volume edito a 25 anni di distanza: A) Materiali certamente pertinenti all’età del ferro: ansa e frammenti di lamina probabilmente pertinenti a una tazza di bronzo); frammenti di lamine di bronzo (n. 19 di cui 18 pertinenti a vasi); n. 3 asce ad alette; figurina zoomorfa (ariete); n. 2 fibule; B) Materiali dell’età del bronzo finale che perdurano sporadicamente anche nell’età del ferro: n. 5 fibule; C) Materiali del terzo orizzonte del Bronzo finale e/o della primissima età del ferro, perché attestati esclusivamente nei ripostigli di Goluzzo, Piediluco-Contigliano e Santa Marinella e in altri contesti, sconosciuti, della stessa Chiusi: n. 2 fibule; n. 6 coltelli, di cui n. 2 frammentari; n. 10 punte di lancia di cui n. 7 frammentarie; punta di freccia; scalpello; sega; D) Materiali dell’età del bronzo finale: coltello; n. 16 asce; n. 2 scalpelli; E) Materiali frammentari di attribuzione incerta: ascia; n. 2 fibule frammentarie; n. 6 frammenti di coltelli; n. 2 lance frammentarie; n. 7 frammenti di asce; frammento di spada; cannone di lancia; lingotto; n. 2 piccole barre; verghetta. Nella figura zoomorfa è stato poi riconosciuto un bovide.

Il Goluzzo si trova nella valle del Montelungo, a sud-ovest di Chiusi, immediatamente a mezzogiorno del pianoro del Petriolo, a confine cioè con la parte più meridionale dell’abitato antico.

Quanto infine all’importanza di rinvenimenti del genere in quelle che sono da considerarsi zone liminari come mura urbane, porte e recinti sacri, valgano alcune considerazioni dell’attuale direttrice del Museo delle Antichità Etrusco-italiche della Sapienza Università di Roma oltre che docente della materia presso la stessa università, tratte dal volume

degli Atti del Convegno internazionale “Mura di legno, mura di terra, mura di pietra: fortificazioni nel Mediterraneo antico” tenutosi a Roma nel 2012:

L.M. Michetti

“Riti e miti di fondazione nell’Italia antica. Riflessioni su alcuni contesti di area etrusca”

pp. 345-346

“… La sacralità delle mura urbane in ambito etrusco è operante fin dalle fasi formative delle città, come sembra ad esempio testimoniato dai dati relativi alla cinta villanoviana di Bologna/Felsina, per la quale J. Ortalli ha riconosciuto un particolare rituale di fondazione consistente nella deposizione di un grande vaso quadriansato di impasto decorato a pettine, collocato nel rincalzo di una fossa di un palo relativo alla primitiva cinta, probabilmente in corrispondenza della rientranza di una torre. La datazione del vaso intorno alla metà dell’VIII sec. a.C. riconduce alla fase di realizzazione del sistema difensivo, articolato in fossati perimetrali con acque correnti, una fortificazione lignea con torri e galleria interna, un camminamento protetto. Un’interpretazione analoga è stata proposta per il “ripostiglio” della Falda della Guardiola di Populonia, la cui natura è stata riconsiderata in rapporto alla realizzazione di una primitiva cinta il cui tracciato sarebbe stato successivamente ricalcato dalle “mura basse”. Una fossa individuata in corrispondenza dell’angolo a monte di un torrione di avancorpo è stata infatti identificata da A. Romualdi con quella del noto ripostiglio, a conferma che, nella seconda metà dell’VIII secolo, nel quadro dei riti di fondazione delle fortificazioni, in un punto strategico per la difesa e l’accesso al centro abitato e in una fase di profondi mutamenti per la comunità populoniese, si sarebbe seppellito un nucleo di oggetti eccezionali – tra i quali la spada tipo Monte Sa Idda e la navicella di produzione nuragica, più antiche e defunzionalizzate – di forte valore pregnante ed allusivo da un lato all’antica tradizione metallurgica della città, dall’altro alla possibile integrazione di individui sardi nella locale compagine sociale. … 

p. 350

… La frammentarietà dei dati a disposizione, l’eterogeneità cronologica e geografica dei casi presentati, nonché la difficoltà di confrontare contesti per molti versi differenti, non pregiudicano tuttavia la possibilità di riflettere su alcuni caratteri costanti. La ricorrenza di depositi votivi e pratiche rituali di vario genere non solo in corrispondenza delle mura ma anche nei luoghi più evocativi dell’origine della città e delle sue istituzioni ci fa infatti comprendere come la fondazione di un sito, che sembra inizialmente rispondere innanzitutto ad esigenze di carattere pratico e connesse con la “salubrità dei luoghi”, risulta in realtà essere fin dalle origini estremamente intrisa di elementi rituali e simbolici che vengono perpetuati nel tempo e nei quali la comunità urbana continua ad identificarsi.”

Per ultimo mi associo al ringraziamento rivolto dall’Assessore alla Cultura Mattia Bischeri ai Soci del Gruppo Archeologico “Città di Chiusi” per il contributo dato alla pulizia e siglatura dei materiali dello scavo e all’organizzazione dell’Incontro.

Roberto Sanchini

 


  
         Durante la serata l’Azienda Agricola Nenci ha offerto un calice di vino al pubblico presente. I numerosi partecipanti intervenuti hanno potuto visitare in notturna gli scavi dei lavatori.

 

 

Il Gruppo Archeologico Città di Chiusi è sempre ben felice di dare il contributo nella realizzazione di questi eventi e di collaborare con l’Amministrazione Comunale per promuovere la Città di Chiusi e tutto l’immenso patrimonio archeologico.
Vi aspettiamo al prossimo incontro che si terrà venerdì 9 SETTEMBRE alle ore 21 con il dr. Mattia Bischeri che parlerà delle recentissime scoperte degli scavi di Porta Lavinia.


Per tutti gli eventi in programma seguite la nostra pagina e quella dell’Amministrazione Comunale di Chiusi.

  
            

Un particolare ringraziamento va al  Comune della Città di Chiusi ed Azienda Agricola Nenci

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